fbpx

The China Study: Punti di forza e critiche

Regolamento UE 1169/11
Regolamento UE 1169/11
14 Dicembre 2016
TÈ MATCHA
Te Matcha
29 Dicembre 2016
Regolamento UE 1169/11
Regolamento UE 1169/11
14 Dicembre 2016
TÈ MATCHA
Te Matcha
29 Dicembre 2016

La notizia non è sicuramente nuova ma questo libro continua a far parlare. Sono infatti poche le persone che non conoscono, o quanto meno hanno sentito nominare, The China Study, un best seller a livello mondiale sulla nutrizione. Un vero e proprio studio sull’alimentazione umana e sugli effetti che il cibo che consumiamo ha sul nostro stato di salute.

Il libro The China Study, pubblicato in Italia già dal 2012 e opera di T. Colin Campbell e del figlio Thomas M. Campbell, riporta un importante studio epidemiologico durato 27 anni e condotto nelle zone rurali cinesi, più altre ricerche svolte in diverse parti del mondo ma giunte tutte alla stessa conclusione: le proteine animali sono dannose per la nostra salute e il consumo eccessivo di questi alimenti porta a sviluppare vari tipi di cancro e altre malattie.

Negli anni ‘60 C. Campbell inizia i suoi studi nel campo dell’alimentazione, la prima ricerca importante a cui partecipa è quella che viene condotta sui bambini malnutriti delle Filippine, studio che ad un certo punto si trasforma in una vera e propria indagine sul perché vi sia un’insolita incidenza in questi bambini di tumore al fegato. Inizialmente si pensa che ciò sia dovuto all’aflatossina contenuta nelle arachidi e nel frumento, ma alla fine la ricerca conclude in maniera inaspettata: la maggiore incidenza di cancro al fegato si nota in particolare nei bambini più ricchi, quelli che consumano più proteine animali.

E’ il momento di The China Study, ricerca epidemiologica effettuata da un team di scienziati coordinati da Campbell e distinta in due fasi. Nella prima fase sono stati raccolti dati relativi ad abitudini alimentari oltre che analisi di urine e sangue di 6500 adulti residenti in 138 villaggi e 65 contee, nella seconda i dati erano relativi a 10.200 adulti sparsi in 170 villaggi della Cina rurale e di Taiwan.

Quello che è emerso in sintesi è che nelle zone analizzate l’incidenza di malattie come cancro alla mammella, al colon e al polmone, diabete, osteoporosi, ictus, ipertensione e malattie cardiocircolatorie era bassissima. Queste malattie erano pressoché sconosciute nelle zone rurali della Cina dove si consumavano in media 4 grammi di proteine animali al giorno, diversa la situazione per chi abitava in città dove le cosiddette “malattie dell’abbondanza” erano ben più diffuse. Qual è il motivo? Chi viveva a Pechino o Shanghai aveva una dieta molto più ricca di proteine animali e decisamente più povera di vegetali.

Il dott. Campbell studia anche gli effetti della caseina sui topi scoprendo che questa proteina, presente in latte e derivati, aiuta i tumori nella loro crescita, in sostanza li nutre. Più nello specifico somministrando regolarmente il 20% di caseina ai topi, il cancro cresceva stabilmente, mentre somministrandone solo il 5%, il cancro si arrestava. Utilizzando invece altri tipi di proteine come ad esempio quelle ricavate da soia e grano, questo non avveniva. Ad attivare il cancro, dunque, secondo Campbell sono solo le proteine di origine animale.

L’ALIMENTAZIONE SECONDO THE CHINA STUDY

Qual è dunque l’alimentazione più corretta e sana secondo questo studio?

  • Limitare al massimo o eliminare del tutto le proteine di origine animale;
  • Incentivare i cibi di origine vegetale e quelli integrali.

Nel libro sono riportati 8 pilastri dell’alimentazione:

  1. L’alimentazione rappresenta le attività combinate di numerosissime sostanze nutritive. Ogni cibo che noi assumiamo è fatto di diverse sostanze chimiche che lavorano in stretta combinazione tra loro, non bisogna quindi idealizzare una sola sostanza nutritiva rispetto alle altre ma imparare che è la combinazione tra esse a fare la differenza;
  2. Gli integratori vitaminici non sono una panacea per la salute;
  3. I cibi di origine animale non contengono sostanze nutritive che non siano meglio fornite dalle piante (unica eccezione la vitamina B12);
  4. I geni non determinano da soli la malattia: funzionano solo se vengono attivati o espressi e la nutrizione riveste un ruolo decisivo nel determinare quali geni, buoni o cattivi debbano essere espressi;
  5. L’alimentazione può controllare in modo sostanziale gli effetti avversi dei farmaci nocivi;
  6. La stessa alimentazione che previene la malattia negli stati iniziali (prima della diagnosi) può anche arrestare o far regredire la malattia negli stadi successivi (dopo la diagnosi);
  7. Un’alimentazione che sia davvero benefica per una particolare malattia cronica sarà di vantaggio alla salute su tutta la linea;
  8. Una buona alimentazione crea salute in tutti gli ambiti della nostra esistenza.

Ovviamente una pubblicazione di questo genere non poteva che sollevare un polverone di critiche.

Le conclusioni sono controverse e non del tutto condivise dalla comunità scientifica.

Il China Study identifica alcune “malattie dell’abbondanza” (infarto, ictus, ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi) legate ai comportamenti individuali e in particolare all’alimentazione. Sotto accusa sono principalmente la carne, i latticini e i grassi di origine animale, che provocherebbero, tra le altre cose, uno sviluppo puberale precoce e una più prolungata esposizione agli ormoni endogeni (cioè prodotti dall’organismo stesso). Gli effetti negativi del consumo di carne si vedrebbero soprattutto nello sviluppo del cancro della mammella, un tumore la cui incidenza (cioè il numero di donne che si ammalano) sarebbe, in Cina, cinque volte inferiore a quella degli Stati Uniti. Oltre alla dieta vegetariana, i cinesi possono contare anche sugli effetti benefici di cereali non raffinati.

Questi dati non sono una vera novità e sono stati confermati anche da altri studi, come lo studio EPIC in Europa. Ciò che la comunità scientifica ha trovato scarsamente dimostrato è il fatto che, secondo i calcoli del China Study, il consumo anche di piccolissime quantità di grassi e proteine animali (compresi quelli provenienti dai latticini, indicati come particolarmente pericolosi) porterebbe a un incremento importante del rischio. Si tratta di una differenza notevole rispetto agli altri studi epidemiologici, che hanno mostrato un aumento sì del rischio, ma graduale, tale da consentire un consumo ragionevole di questi alimenti che fanno parte da sempre della dieta umana.

Non solo. Il libro The China Study è diventato una sorta di “bibbia dei vegani”. Mettendo all’indice tutti i cibi di origine animale, lo studio sulla Cina tenderebbe infatti ad avvalorare una dieta che invece altri studi epidemiologici identificano come eccessivamente restrittiva. Una quantità ragionevole di grassi di origine animale, latticini e soprattutto pesce, è infatti considerata salutare da tutte le ricerche sul legame tra alimentazione e sviluppo di malattie, fra cui il cancro.

Vi sono molte ragioni per cui la comunità scientifica non ritiene attendibili le conclusioni di questo studio così come sono esposte nel libro. La principale riguarda il metodo utilizzato per collegare le possibili cause con gli effetti. Senza entrare in dettagli è importante capire che il nesso tra un evento e un altro può essere facilmente manipolato dal punto di vista statistico se non si tengono in considerazione tutti i possibili elementi confondenti.

Negli studi epidemiologici rigorosi i legami apparenti di causa ed effetto tra eventi –le inferenze- sono scartati dagli esperti nel processo di revisione, ma questo non è accaduto nel caso del China Study, nel quale sono presenti numerose correlazioni apparenti.

Ad esempio la caseina, la proteina contenuta nel latte e nei formaggi: sulla base dei dati del China Study e del fatto che i cinesi consumano pochissimi latticini, Campbell ha dedotto che i latticini sono cancerogeni. Ha condotto anche un esperimento con topi affetti da tumori, dimostrando che togliendo la caseina si riduce la dimensione del tumore. Sembrerebbe una prova inconfutabile, con una doppia conferma, negli esseri umani e negli animali. Tuttavia Campbell non tiene in considerazione un altro dato, ottenuto nel 1989 da Schulsinger e collaboratori: un effetto analogo è ottenuto con proteine del grano, se a queste si aggiunge l’amminoacido lisina, che consente all’organismo di produrre autonomamente la caseina. In pratica non importa se la caseina proviene da una fonte animale o è prodotta a partire da un’altra proteina vegetale: quello che conta è la capacità dell’organismo di produrne a sua volta, fornendo un nutrimento al tumore.

Nella dieta di un occidentale la lisina è sempre presente, perché è uno dei nove amminoacidi essenziali che dobbiamo introdurre con la dieta. Altri studi hanno identificato nel siero di latte alcune proteine che hanno l’effetto opposto, ovvero hanno proprietà antitumorali. Non solo: i topi di Campbell, con dieta priva di caseina, dopo qualche anno hanno sviluppato un cancro del fegato associato alla carenza di alcune proteine. Tali proteine erano necessarie al corretto funzionamento di questo organo, la cui funzione principale è l’eliminazione delle tossine dall’organismo.

Questo è solo uno degli innumerevoli esempi di analisi “selettiva” delle prove scientifiche, presenti ne The China Study. La conclusione secondo la quale i Paesi dove si consuma più latte sono anche quelli in cui si muore di più di tumore non tiene conto di altri fattori importanti, come il fatto che sono anche i Paesi dove si vive più a lungo (e l’età è un fattore di rischio importante per lo sviluppo di un cancro), e dove, all’epoca dello studio, erano maggiori sia l’inquinamento ambientale, sia la sedentarietà.

The China Study ha anche altri difetti di metodo: per esempio mette in relazione un numero enorme di variabili (367, come si è detto, con oltre 8.000 diverse correlazioni) e ciò consente, con appropriati utilizzi della statistica e in assenza di studi di controllo, di dimostrare pressoché qualsiasi teoria preconcetta.

Nella maggior parte dei casi le affermazioni di Campbell e del suo libro non reggono alla prova dei numeri contenuti proprio negli studi che descrive. In particolare Campbell generalizza alcuni dati che riguardano una proteina specifica, studiata in modo isolato e senza tenere conto degli effetti di una dieta varia, per arrivare all’erronea conclusione che sia consigliabile eliminare qualsiasi proteina animale.

Rimane però il fatto che altre ricerche dimostrano che una riduzione delle proteine e dei grassi animali diminuisce il rischio di sviluppare un tumore, all’interno però di una dieta varia che comprenda latte, uova e pesce. Quindi anche un consumo saltuario di carne è compatibile con una nutrizione equilibrata.

Se hai trovato interessante questo articolo condividilo sul tuo social preferito ed iscriviti alla newsletter, ogni tanto, e senza spam, invierò qualche informazione speciale riservata solo agli iscritti.

[mc4wp_form id=”3925″]